domenica 6 ottobre 2013

CAPRA E CAVOLI



No, non ho alcuna intenzione di salvare ne la capra ne i cavoli. Al contrario li voglio mangiare, meglio ancora, farli mangiare. In un Paese dove il 43% della popolazione è mal nutrita, dove la maggior parte della gente si nutre di piatti a base di polente e foglie di cassava il cui valore nutrizionale e al tempo stesso antinutrizionale è materia di ampia discussione scientifica, ove l'apporto di proteine animali e' scarso il tentativo di salvare capra e cavoli mi pare faticoso e inutile. Meglio mangiarseli, tutt'e due.
Il problema, tuttavia, non è tanto sapere se uno stufato di capra e cavolo sia saporito ma di riuscire a modificare le abitudini alimentari della popolazione, di rendere la capra - e i suoi prodotti - accessibili a quelle popolazioni che non ne hanno la possibilità. 
Non che la capra in Mozambico sia sconosciuta, ben lo sanno i guidatori obbligati a improvvisi slalom tra capre e capretti. Ma sono capre dalle mammelle rinsecchite capaci a mala pena di allattare il minuscolo capretto, impossibile, quindi, utilizzarlo a meno che non si avvii un programma di miglioramento genetico, si educhino le donne (e gli uomini) alla mungitura. Ma ancor prima sarebbe necessario capire le ragioni culturali, sociali ed economiche che fanno della capra un animale poco utilizzato. 

venerdì 19 luglio 2013

LA CITTÀ' IDEALE


QUESTA SARA' PURE LA CITTÀ' IDEALE, NON DICO DI NO

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CERTAMENTE QUESTA, PERO', NON E' LA SCUOLA IDEALE



domenica 2 giugno 2013

FILOSOFEGGIANDO


Bhe! non sono d'accordo ma leggere il libro consigliato da Saverio non fa certamente male. Forse è ora di smettere di pensare in termini economici e di introdurre nel pensiero economico un poco di filosofia. Quindi cercate e leggete il libro "Poor Economics, a radical rethinking of the way to fight global poverty"  di  Abhijit V. Banerjeey y Esther Duflo. 

venerdì 31 maggio 2013

POLLO ARROSTO



Sai ched’è la statistica? È ’na cosa
che serve pe’ fa’ un conto in generale
de la gente che nasce, che sta male,
che more, che va in carcere e che sposa.

Tra l'altro, ma non solo. A parte a fa un conto in generale la statistica è uno degli strumenti che possiede un Governo per decidere le sue politiche che, se non vado errato, dovrebbero ipoteticamente essere orientate a soddisfare i bisogni del governato, del cittadino insomma. Lo strumento diventa un vero strumento solo quando la statistica è indipendente dal Governo e registra freddamente dati separati dalle opinioni (o dalle politiche, il che è lo stesso). Senza i dati non sapremo quanta gente che nasce, che sta male, e non sapremmo nemmeno perché nasce e perché sta male. Sostiene Trilussa che

 secondo le statistiche d’adesso
risurta che te tocca un pollo all’anno:
e, se nun entra ne le spese tue,
t’entra ne la statistica lo stesso

perché c’è un antro che ne magna due. 

Secondo Des McHale, «l’umano medio ha una mammella e un testicolo». Il che, a rigore, è vero seppur palesemente falso. E dimostra come la statistica non solo sia uno strumento importante ma come il suo uso possa essere assai pericoloso qualora non venga correttamente gestito. Il problema delle statistiche è quindi difficile e non si limita alla complessa scienza della raccolta e analisi dei dati anzi, si potrebbe dire che questo è un aspetto secondario. Quello che importa è l'uso o il loro non uso. La decisione di raccogliere ed analizzare i dati, come farlo e di come analizzarli  è in realtà una decisione politica che ha ripercussioni sul cittadino. Così, la mancanza di dati o la loro pubblicazione parziale può divenire un potente strumento di gestione del potere tramite il quale dimostrare, come il poeta, che ognuno mangia un pollo ma tu resti senza mentre un altro ne mangia due.  Come dice Livraghi nelle sue premesse al libro di Huff Mentire con le statistiche (ed. M&A) "...Ma di dati, più o meno attendibili, siamo continuamente inondati. E, anche quando in un’analisi o in un commento non viene specificamente indicato un numero, spesso si trovano affermazioni basate su qualcosa che ha origine da una statistica, mentre nessuno ha la bontà di dirci quale sia la fonte e come si sia arrivati a stabilire se davvero gli uomini preferiscono le bionde ..."
Lo stesso principio vale nella lotta alla povertà. Gli stessi dati dimostrano, a seconda di chi li usa, che un Paese è uscito dalla povertà o, al contrario, che i livelli di questa sono aumentati. Le due conclusioni fanno gioco a pochi certamente non a tutti.


sabato 4 maggio 2013

QUADRATURA DEL CERCHIO




Fuori della location (eh si, noi le sale congressi le chiamiamo location, fa fino e non impegna come direbbe il mio amico Stanislao, che dio abbia in gloria i suoi genitori) di Busan i massimi esperti sembravano preda di una delle più virulente epidemie di orticaria. Chi si grattava di qua, chi di la. Ma tutti non tralasciavano una grattatina al cuoio capelluto. Sebbene sia certo che la stimolazione dello stesso abbia benefici notevoli sulla ricrescita del capello  ho il vago sospetto che l’attività non fosse dovuta all’incipiente calvizie ma al forforoso tentativo di conciliare gli interventi di cooperazione con quelli del settore privato così come richiesto nel corso della Conferenza.

Tralasciamo i risultati ottenuti dalle precedenti conferenze, sospendiamo il giudizio sui benefici tricologici del massaggio cutaneo e concentriamoci sui rapporti tra i due corni del problema e che potrebbero essere riassunti nella semplice domanda: possono coesistere le due visioni? Si, credo di si, sebbene non sia facile trovare una soluzione. Non che si arrivi alle difficoltà concettuali della quadratura del cerchio, ma ci si avvicina molto.  E non tanto perché non sia facile trovare dei punti di contatto ma perché la difficoltà resta, tutta, nel conciliare due visioni oramai contrapposte e l’una contro l’altra armate. Keynes vs Smith, il diavolo e l’acqua santa, lo ying e lo yang.  Se dovesse prevalere, come parrebbe, una visione del mercato quale unica forza regolatrice dello sviluppo allora ci si troverebbe di fronte ad un dilemma irrisolvibile, poiché il mercato dovrebbe rappresentare l’unica forza motrice dello sviluppo ripudiando, nella sua accezione più pura e classica, qualsiasi intervento dello Stato visto, quest'ultimo, come impedimento al libero agire dell’uomo le cui capacità sono il motore del progresso economico, e non solo. E’ quindi l’economia, parrebbe, il fine ultimo della natura umana, la produzione di merci e il loro libero scambio, regolato dalla domanda e dall'offerta  e che, per meccanismi che non oseremmo definire darwiniani, finisce con trovare un equilibrio. Così come in natura l’uso delle risorse determina  un equilibrio dinamico delle popolazioni così il mercato con le sue, poche e semplici regole, dovrebbe condurre ad un equilibrio ciclico che passa da una fase log ad un plateau e, per deplezione delle risorse, alla decadenza. Il ciclo naturale di una popolazione, quindi, riprende all'infinito  Ma il perpetuarsi di tale meccanismo in natura, nella sua semplicità, basato su poche, pochissime regole non è in realtà frutto delle regole ma dalle eccezioni. Ben lo sa chi s’occupa di genetica scienza questa che individua nella mutazione, e non nella  stabilità, il motore dell’adattamento. Ma l’economia, sfortunatamente, non segue le lineari logiche della biologia, ne della scienze umane. Segue regole tutte sue, che sfuggono alla comprensione di chi tali regole crede, e pensa, di dominare.

Come che sia, e se le teorie dei Chigaco boys fossero applicate alla lettera, il dettato di Busan non avrebbe significato alcuno poiché libero mercato, nell'accezione dei discoli di Chicago, tiene in non cale alcune variabili sociali che, al contrario, sono fondamenta dell’azione della cooperazione allo sviluppo e, più in generale, del vituperato Stato. Se la promozione di un maggior coinvolgimento del settore privato nelle politiche di sviluppo dei PVS (espressione datata e detestabile) dovesse ispirarsi  al modello neoliberista, così come coniugato da Friedmann, questo dovrebbe obbligatoriamente passare da un concetto neo colonialista di appropriazione  delle risorse. Cosa che, in parte, avviene; basti pensare al fenomeno del land grabbing. Ed anche questo farebbe parte, secondo le teorie neoliberiste, delle dinamiche del libero mercato. Ma quindi il libero mercato, nella sua accezione moderna, continuerebbe a basarsi sulle possibilità offerte a chi ha già. Si potrebbe obiettare, si obietta, che il mercato consente a chiunque – la teoria delle noccioline americane – di passare da uno stato di povertà ad uno di ricchezza e che per effettuare tale passaggio basterebbe utilizzare la libera iniziativa, metterne a frutto le infinite possibilità di commercio – il mercato null'altro è che smercio di beni di infinita natura  e quindi di infinite possibilità – se non fosse che il mercato si basa sulla disponibilità di capitali, anch'essi beni commerciabili qualora se ne ravvisasse la convenienza. Il punto è che tale convenienza non esiste se non esiste un capitale tale da garantirne tale effetto. E quindi, il capitale pretende la fornitura di garanzie che spesso coincidono con il capitale stesso.

Al di fuori dei circuiti finanziari l’unico prestatore di garanzie, in passato, è stato proprio lo Stato il cui intervento è però adesso considerato alla stregua del fumo negli occhi. Ma anche lo Stato presta o fornisce le garanzie di cui il mercato ha bisogno chiedendo in cambio una contropartita che nel linguaggio comune si concretizzano in una sola parola: tasse.  In poche parole io ti do le garanzie che il mercato richiede se tu mi restituisci parte dei tuoi guadagni; il concetto non è molto differente da quello delle banche ma restituire parte dei guadagni sotto forma di interessi appare legittimo e condivisibile; pagare le tasse, no. Se vi è qualcosa di più inviso dell’olio di ricino queste sono proprio le tasse. Eppure, mentre l’interesse remunera un capitale le tasse fanno di più: remunerano il capitale e inoltre vanno, o dovrebbero andare, al servizio della comunità. Ma le tasse fanno ancor più, esse infatti  pagano servizi forniti da capitali privati attivando il mercato; sono quindi un sistema di finanziamento del mercato stesso. L’abolizione delle tasse, così come auspicato da alcuni, non consente quindi di finanziare proprio quel mercato che ha in odio lo Stato. Parrebbe che ci si trovi di fronte al classico caso del cane che si morde la coda. Ma sono proprio le tasse che pagano quelle attività che si vorrebbero avviare, attività necessarie a porre le basi per un più sicuro intervento del capitale privato. Da un lato il capitale chiede la formazione di una rete di protezione dall'altro non vuole partecipare alla sua formazione.

E allora? Come possono essere integrate le diverse concezioni? Basterebbe, forse, dar aria al vecchio cappotto di Keynes ricordando che lo Stato ha ancora un ruolo economico e che questo è tanto più importante quanto più la società è in crisi finanziaria. E' su un modello keynesiano che si sono sviluppate le società moderne così come le conosciamo. Il cappotto di Keynes sarà anche polveroso ma non v'è traccia di forfora.

mercoledì 1 maggio 2013

AGRICOLTURA - 1


L’agricoltura, nella sua più semplice definizione, è la scienza di produrre alimenti ovvero prodotti anche non alimentari. Spesso agronomia e agricoltura vengono usati come sinonimi ma in realtà il primo indica la scienza applicata alla produzione mentre agricoltura ha assunto un significato più tradizionale indicando l’insieme delle tecniche tradizionali sviluppatesi nel corso della sua storia.

Quale sia il termine corretto per indicare il processo produttivo è di tutta evidenza che esso non possa più essere limitato alla mera attività di produzione primaria ma deve comprendere una analisi multilivello di diversi fattori che si integrano tra di loro, pertanto l’agricoltura non andrebbe trattata diversamente da un qualsiasi processo economico il cui fine ultimo è la produzione di benessere sensu lato.

I motivi che hanno fermato lo sviluppo agricolo africano sono molteplici e ben conosciuti, ripetere qui quali essi siano non appare opportuno. Resta il fatto che nel suo complesso, e nonostante che dia impiego a ben più della metà della popolazione africana, essa non sia capace di contribuire allo sviluppo economico dell’area. Per anni considerato settore d’elezione per le diverse agenzie di cooperazione, nel quale hanno investito più di ogni altro settore, nell'ultimo decennio ha visto un calo d’interesse e di finanziamenti a causa dei risultati del tutto scoraggianti e, nella migliore delle ipotesi, non sostenibile. Gli esempi, anche all'interno della stessa cooperazione italiana, sono innumerevoli. Tra le concause di tali fallimenti si deve comunque sottolineare che un qualsiasi intervento di grande respiro, sia esso un perimetro irriguo o una riforma fondiaria, non può esaurirsi nell'arco temporale determinato dal risultato ma dai vincoli amministrativi finanziarie. Ad esempio la cooperazione italiana lavora su un ciclo di bilancio di tre anni e non sull'effettivo raggiungimento dell’obiettivo specifico che in agricoltura deve, gioco forza, seguire ritmi che non sono quelli amministrativi ma biologici-produttivi (si pensi al ciclo colturale di un frutteto) La difficoltà di avviare un processo di sviluppo economico partendo dall'agricoltura è ben noto. Tuttavia, le diverse ricette che si sono susseguite s’incentrano su un solo semplice concetto: l’agricoltura africana deve produrre di più e meglio, i suoi prodotti devono entrare nel grande flusso del commercio internazionale e così, come d’incanto, l’Africa dovrebbe uscire dalla povertà.

martedì 23 aprile 2013

LA PENDOLA


No, non è la pendola di mia nonna, o al meno così credo. La pendola della nonna era grande, scura, e non funzionava. Non ha mai funzionato, nonostante gli sforzi delle generazioni che si sono susseguite. Ma poi, vi domanderete, cosa c'entra la pendola della nonna con l'Africa? C'entra, c'entra perché sebbene non sia quella di mia nonna, e lei non abbia mai pensato a null'altro che a farla funzionare, sforzo vano come ebbe a dire suo figlio, mio zio, il pensiero sullo sviluppo rurale e' come un pendolo che oscilla ora da un lato ora dall'altro ma che non funziona mai; come la pendola della nonna.

Si possono distinguere due tendenze opposte che s'accostano allo sviluppo. (1) Una  promuove lo sviluppo agricolo che privilegia una modernizzazione dell'agricoltura nel quadro dell'agro-industria capace di sfruttare al meglio i potenziali produttivi disponibili, che ha come effetto la concentrazione delle terre e, quindi, l'eliminazione delle piccole aziende familiari. L'altra tendenza, al contrario, sostiene una politica agraria basata sulla piccola azienda familiare unica capace di raggiungere gli obiettivi di lotta alla povertà non solamente perché capaci di adattarsi alle diverse condizioni produttive ma perché unico sistema capace di stimolare l'impiego agricolo e rurale, e finalmente permettere il miglioramento della vita nelle campagne.
Questo approccio, manicheo, come la pendola della nonna non prevede alternative, o l'uno o l'altro, o funziona o non funziona. Generalmente parlando, le ONG tendono verso l'agricoltura familiare, le Agenzie governative guardano all'impresa privata, dotata di capitali, come unica soluzione allo sviluppo rurale. 
La pendola della nonna, generalmente nella notte, rintoccava senza preavviso alcuno e chi dormiva nella vasta casa si svegliava di soprassalto. La pendola era un incubo, salvo per la nonna il cui volto ad ogni rintocco, casuale, lasciava trasparire un sorriso appena accennato. Lo stesso di chi si occupa di sviluppo rurale ben sapendo che di esso non esiste una definizione. Aspettiamo, come la nonna, il prossimo rintocco sperando che sia quello buono.



(1) Claude Freud, « Devèze, Jean-Claude (dir.). — Défis agricoles africains », Cahiers d'études africaines [En ligne], 202-203 | 2011, mis en ligne le 10 octobre 2011, consulté le 26 mars 2013. URL : http://etudesafricaines.revues.org/14287


sabato 20 aprile 2013

L'AFRICA TRA IMMAGINE E REALTÀ'


 


E’ con disagio che leggo quanto la nostra stampa riporta dell’Africa; un continente immaginato, anticamera dell’inferno. Un inferno animato da catastrofi bibliche e spauracchi ancestrali che, sia chiaro, esistono e condizionano la vita sociale ed economica dell’Africa ma, occorre dirlo, senza paralizzarla.

Sottolineare continuamente gli aspetti negativi, le epidemie, le catastrofi naturali e quelle, non meno dannose provocate dalla mancanza di democrazia, è utile solamente a suscitare sentimenti di sfiducia e la facile convinzione che l'Africa sia un continente perduto, incapace con le sue sole forze di uscire dalla povertà. Sono gli stessi argomenti che hanno dato giustificazione alle conquiste coloniali.

 Ed allora, non mi resta che concordare con Amselle nella sua cruda e lucida analisi. “Se le cose stanno così, è perché l’attenzione rivolta alla povertà e alla malattia è uno degli ingredienti essenziali del “charity business” il quale fa leva sulla reiterata mobilitazione e colpevolizzazione di ampie fasce della popolazione europea e nord americana”.

Al contrario, chi quotidianamente lavora con le diverse realtà africane, sa che esse sono sempre più impegnate in un profondo processo di riforme, spronate dalla consapevolezza, fatta propria dalla maggioranza dei governanti dei Paesi dell’area, che non si può uscire dal circolo vizioso della povertà senza favorire lo sviluppo di un vero e profondo processo democratico. E tuttavia, ancora, i media non si soffermano su esempi positivi ma mostrano ripetute sequenze di guerra, dolore e distruzione.

Ripeto, non voglio nascondere l'esistenza di guerra e dolore. L’Africa è ancora segnata da una forte instabilità ma tale instabilità non è dovuta a frizioni etniche ma al fatto che le società africane sono parte di una complessa rete di scambi economici che risentono, purtroppo ancora, dei secoli di colonizzazione il cui retaggio sembra far fatica a sparire.

Molti Paesi sono riusciti tuttavia a superare con le armi della diplomazia le divergenze. E ancora una volta il nostro sistema di comunicazione sembra non farci caso. Se alla guerra, alla povertà, alla malattia sono dedicate pagine e pagine di giornali e riviste, ore ed ore di trasmissioni televisive, alla pace s’accenna solamente, glissando, in trafiletti redazionali. Daniele Mezzana analizza sapientemente il problema della distorsione dell’immagine del continente nei vari media e canali di informazione e i tentativi con i quali i diversi attori sulla scena stanno cercando di modificare tale atteggiamento.

Occorre aumentare il nostro impegno perché la visione apocalittica lasci spazio alla realtà delle cose, contribuendo a ricollocare l’Africa sullo scenario internazionale. Se non riusciremo in tale compito, credo che tutti gli sforzi, anche finanziari, che la comunità internazionale ha fatto sino ad ora saranno destinati ad essere percepiti, nel migliore dei casi, dalla vasta maggioranza della popolazione del mondo come l’ennesima battaglia contro i mulini a vento. Nel peggiore come uno spreco. 

Più e più volte l’Italia ha ribadito l’importanza di modificare tale impostazione perniciosa. E non solo perché la vicinanza dell’Italia alle coste africane è ponte naturale tra i due continenti ma perché occorre creare fiducia nel sistema Africa. Spesso si accusa la cooperazione internazionale di sprecare risorse ma gli aiuti allo sviluppo non possono da soli riportare le società africane nel contesto mondiale, ammesso e non concesso che esse ne siano mai state allontanate. Ricreare la fiducia delle nostre società sulle società africane è un compito fondamentale. E’ solamente attraverso questo processo di comunicazione, che si potranno mobilitare gli investimenti privati, veri motori di una rinascita economica.

Occorre, dunque, che avanzi una cultura della comunicazione positiva impegnarsi in uno sforzo notevole per far conoscere, e far riconoscere, che gli impegni finanziari e politici per la costruzione di nuove relazioni con i diversi Paesi dell’area non sono costruzione di cattedrali nel deserto o finanziamento, più o meno occulto, a Governi corrotti o dispotici come troppo spesso traspare dalla stampa.

Il nostro dovere istituzionale è quello di contribuire ad irrobustire le istituzioni favorendo lo sviluppo di capacità endogene, di programmazione e gestione delle risorse e incoraggiandone l’uso per l’attuazione di politiche sociali volte al raggiungimento degli Obiettivi del Millennio. Ma questo non è ancora sufficiente, dobbiamo fornire mezzi e strumenti con i quali le diverse realtà africane possano comunicare con il mondo, contribuendo a riportare l’immagine dell’Africa alla realtà dei fatti.

Mi preme sottolineare, ancora una volta, che l’Africa non è, e non deve esser considerato, un continente omogeneo. Vi si incontrano situazioni tra le più diverse: Paesi che hanno con decisione e coraggio intrapreso il cammino della modernizzazione e delle riforme, Paesi che con più fatica si accingono ad intraprenderlo ed altri Paesi ancora che a causa della situazione di instabilità interna stentano a comprendere le ricadute che potrebbe avere l’avvio delle riforme democratiche sul tessuto economico e sociale del proprio Paese, sull'efficacia delle politiche di riduzione della povertà e sul conseguimento degli Obiettivi del Millennio.

La cooperazione italiana guarda, quindi, con sempre maggiore fiducia alle possibilità di sviluppo dell’Africa e ne riconosce le immense potenzialità. Per questa ragione ha confermato l' impegno per l’Africa.

Siamo impegnati in questo processo e, senza elencare le numerose iniziative avviate e completate, perché ne risulterebbe un noioso elenco di cifre e titoli che non hanno alcun interesse in questa sede, quello che vorrei sottolineare è l’importanza che nel nostro lavoro quotidiano attribuiamo ad una corretta comunicazione, capace, auspicabilmente, di raggiungere nella maniera più completa ed obiettiva sia le società africane che quelle dei Paesi donatori.

giovedì 18 aprile 2013

EDUCAZIONE ALLO SVILUPPO



La casella di posta dell'altro giorno era decisamente sconfortante, chi si lamentava dell'inefficienza di quel Ministero, chi di quell'altro, chi aveva a che ridire sul concetto di process, chi, invece, riteneva che il pillar dovesse essere il process. Chi, più confuso riteneva il process equivalente al pillar, chi, ancora considera prioritario identificare il benchmark, chi, al contrario, sostiene essere cosa inutile il benchmark senza un previo studio del baseline. Tutti concordavano sull'inefficacia e l'inefficienza: dell'uno o dell'altro. Infinite permutazioni dell'essere.
Ma tra un lamento e l'altro ecco apparire, nel linguaggio stentato di chi vorrebbe dominare il burocratese senza conoscerne la grammatica e la sintassi, una richiesta che non s'era mai vista: poteva questo Ufficio trovare un posto dove passare tre settimane svolgendo - a proprie spese -attività' di volontariato, non importa cosa, purché quella cosa indefinita fosse utile. Ma a chi, a cosa?
Confesso. La mano è corsa veloce al mouse puntando la freccia sulla X di elimina. E poi s'è fermata, perché cestinare un desiderio? Non è forse vero che noi, che abbiamo passato la nostra vita ad inseguire la chimera del successo della cooperazione, passiamo il tempo, quel poco rimasto tra un process ed un pillar, a lamentarci che è sparito quello spirito che ci ha mossi verso l'altro o forse, più realisticamente, la realizzazione dei sogni nati e maturati - e fortunatamente mai realizzati - sulle pagine di Salgari e Verne? Non abbiamo anche noi, tutti, iniziato inviando una lettera stentata e sgrammaticata? Ed ora che potremmo aiutare a conservare un sogno perché mai lo dovremmo cestinare?
Il cinico che è in noi, lo sguardo acuto di chi conosce, di chi sa, sorride. Lo stesso sorriso di Yanez. Come Yanez saremmo tentati di liquidare la faccenda accendendoci l'ennesima sigaretta. Come il Corsaro Nero saremmo tentati di affondare il vascello dell'odiato Van Guld sparando due palle incatenate. E invece, forse a malincuore, dobbiamo riconoscere che in noi esiste, resiste lo spirito di Kammamuri.



La foto e' bellissima. Tuttavia, se protetta da copyright,mi scuso con l'autore e se richiesto la elimino











mercoledì 17 aprile 2013

BENVENUTI


Questo potrebbe, forse, essere il blog della Cooperazione italiana in Mozambico. Vuole, vorrebbe, essere un luogo del Sistema Italia della Cooperazione e quindi aperto a quei mondi che, in una maniera o nell'altra, contribuiscono allo sviluppo del Paese.
Ritengo che tale impegno non debba esaurirsi nel "fare" ma, al contrario che questo debba basarsi su solide basi teoriche capaci di consolidare quanto sino ad ora fatto: da tutti, dalla Cooperazione Italiana, dalle ONG, dalle missioni, dai volontari, dalle Regioni, dalle Provincie, dalle molteplici forme in cui si è espressa la volontà della società italiana di contribuire allo sviluppo del Paese ed il cui elenco sarebbe troppo lungo; mi scuso con chi non vi si riconoscesse, è una mia dimenticanza. Un luogo dove confrontare idee, condividere esperienze che possano allargare il confronto e lo scambio tra diverse impostazioni, essendo fermamente convinto che le diversità uniscono e non dividono.
Ove fosse possibile vorrebbe anche accogliere le testimonianze di chi ha assistito alla nascita del rapporto di amicizia tra i due Paesi, di chi ne ha seguito gli inizi, tormentati e travagliati, dall'indipendenza ad ora. 
Un blog vive se viene nutrito, e non solo da chi lo gestisce. Questo ha la pretesa, esagerata forse, di creare un punto d'incontro tra queste diverse esperienze e, pertanto, per scelta non sarà moderato sin tanto che le normali regole del convivere lo consentiranno. 
Ogni opinione da me espressa è solamente mia e me ne assumo ogni responsabilità. 

Per rendere il blog più piacevole inserisco delle foto, qualora infrangessi, senza volerlo, le norme sul  copyright segnalatemelo provvederò a rimuovere l'immagine. Ringrazio sin da ora gli autori per la loro sensibilità e le loro capacità