Fuori della location (eh si, noi le sale congressi le
chiamiamo location, fa fino e non impegna come direbbe il mio amico Stanislao,
che dio abbia in gloria i suoi genitori) di Busan i massimi esperti sembravano
preda di una delle più virulente epidemie di orticaria. Chi si grattava di qua,
chi di la. Ma tutti non tralasciavano una grattatina al cuoio capelluto.
Sebbene sia certo che la stimolazione dello stesso abbia benefici notevoli
sulla ricrescita del capello ho il vago sospetto che l’attività non fosse dovuta
all’incipiente calvizie ma al forforoso tentativo di conciliare gli interventi
di cooperazione con quelli del settore privato così come richiesto nel corso
della Conferenza.
Tralasciamo i risultati ottenuti dalle precedenti
conferenze, sospendiamo il giudizio sui benefici tricologici del massaggio
cutaneo e concentriamoci sui rapporti tra i due corni del problema e che
potrebbero essere riassunti nella semplice domanda: possono coesistere le due
visioni? Si, credo di si, sebbene non sia facile trovare una soluzione. Non che
si arrivi alle difficoltà concettuali della quadratura del cerchio, ma ci si
avvicina molto. E non tanto perché non
sia facile trovare dei punti di contatto ma perché la difficoltà resta, tutta,
nel conciliare due visioni oramai contrapposte e l’una contro l’altra armate.
Keynes vs Smith, il diavolo e l’acqua santa, lo ying e lo yang. Se dovesse prevalere, come parrebbe, una
visione del mercato quale unica forza regolatrice dello sviluppo allora ci si
troverebbe di fronte ad un dilemma irrisolvibile, poiché il mercato dovrebbe
rappresentare l’unica forza motrice dello sviluppo ripudiando, nella sua
accezione più pura e classica, qualsiasi intervento dello Stato visto, quest'ultimo, come
impedimento al libero agire dell’uomo le cui capacità sono il motore del
progresso economico, e non solo. E’ quindi l’economia, parrebbe, il fine ultimo della
natura umana, la produzione di merci e il loro libero scambio, regolato dalla
domanda e dall'offerta e che, per meccanismi che non oseremmo definire
darwiniani, finisce con trovare un equilibrio. Così come in natura l’uso delle
risorse determina un equilibrio dinamico
delle popolazioni così il mercato con le sue, poche e semplici regole, dovrebbe
condurre ad un equilibrio ciclico che passa da una fase log ad un plateau e,
per deplezione delle risorse, alla decadenza. Il ciclo naturale di una
popolazione, quindi, riprende all'infinito Ma il perpetuarsi di tale
meccanismo in natura, nella sua semplicità, basato su poche, pochissime regole
non è in realtà frutto delle regole ma dalle eccezioni. Ben lo sa chi s’occupa
di genetica scienza questa che individua nella mutazione, e non nella stabilità, il motore dell’adattamento. Ma
l’economia, sfortunatamente, non segue le lineari logiche della biologia, ne
della scienze umane. Segue regole tutte sue, che sfuggono alla comprensione di
chi tali regole crede, e pensa, di dominare.
Come che sia, e se le teorie dei Chigaco boys fossero
applicate alla lettera, il dettato di Busan non avrebbe significato alcuno poiché
libero mercato, nell'accezione dei discoli di Chicago, tiene in non cale alcune
variabili sociali che, al contrario, sono fondamenta dell’azione della
cooperazione allo sviluppo e, più in generale, del vituperato Stato. Se la
promozione di un maggior coinvolgimento del settore privato nelle politiche di
sviluppo dei PVS (espressione datata e detestabile) dovesse ispirarsi al modello neoliberista, così come coniugato da Friedmann, questo dovrebbe
obbligatoriamente passare da un concetto neo colonialista di
appropriazione delle risorse. Cosa che, in
parte, avviene; basti pensare al fenomeno del land grabbing. Ed anche questo
farebbe parte, secondo le teorie neoliberiste, delle dinamiche del libero
mercato. Ma quindi il libero mercato, nella sua accezione moderna, continuerebbe
a basarsi sulle possibilità offerte a chi ha già. Si potrebbe obiettare, si
obietta, che il mercato consente a chiunque – la teoria delle noccioline
americane – di passare da uno stato di povertà ad uno di ricchezza e che per
effettuare tale passaggio basterebbe utilizzare la libera iniziativa, metterne
a frutto le infinite possibilità di commercio – il mercato null'altro è che
smercio di beni di infinita natura e
quindi di infinite possibilità – se non fosse che il mercato si basa sulla
disponibilità di capitali, anch'essi beni commerciabili qualora se ne
ravvisasse la convenienza. Il punto è che tale convenienza non esiste se non
esiste un capitale tale da garantirne tale effetto. E quindi, il capitale
pretende la fornitura di garanzie che spesso coincidono con il capitale stesso.
Al di fuori dei circuiti finanziari l’unico prestatore di
garanzie, in passato, è stato proprio lo Stato il cui intervento è però adesso
considerato alla stregua del fumo negli occhi. Ma anche lo Stato presta o
fornisce le garanzie di cui il mercato ha bisogno chiedendo in cambio una
contropartita che nel linguaggio comune si concretizzano in una sola parola:
tasse. In poche parole io ti do le
garanzie che il mercato richiede se tu mi restituisci parte dei tuoi guadagni;
il concetto non è molto differente da quello delle banche ma restituire parte
dei guadagni sotto forma di interessi appare legittimo e condivisibile; pagare
le tasse, no. Se vi è qualcosa di più inviso dell’olio di ricino queste sono
proprio le tasse. Eppure, mentre l’interesse remunera un capitale le tasse fanno di
più: remunerano il capitale e inoltre vanno, o dovrebbero andare, al servizio
della comunità. Ma le tasse fanno ancor più, esse infatti pagano servizi forniti da capitali privati attivando
il mercato; sono quindi un sistema di finanziamento del mercato stesso.
L’abolizione delle tasse, così come auspicato da alcuni, non consente quindi di
finanziare proprio quel mercato che ha in odio lo Stato. Parrebbe che ci si
trovi di fronte al classico caso del cane che si morde la coda. Ma sono proprio le tasse che pagano quelle attività che si vorrebbero avviare, attività necessarie a porre le basi per un più sicuro intervento del capitale privato. Da un lato il capitale chiede la formazione di una rete di protezione dall'altro non vuole partecipare alla sua formazione.
E allora? Come possono essere integrate le diverse
concezioni? Basterebbe, forse, dar aria al vecchio cappotto di Keynes
ricordando che lo Stato ha ancora un ruolo economico e che questo è tanto più
importante quanto più la società è in crisi finanziaria. E' su un modello keynesiano che si sono sviluppate le società moderne così come le conosciamo. Il cappotto di Keynes sarà anche polveroso ma non v'è traccia di forfora.